Giovanna Sartori e Daniele Saguto
In contrapposizione alle negoziazioni ufficiali di Rio+20, si alza alla cupola dei popoli la voce unita delle reti sociali che non credono nel modello di economia verde promosso dall’ONU e propongono una transizione verso un nuovo modello basato su nuovi principi come la giustizia ambientale e sociale e la democratizzazione dello sviluppo.
Il 19 di giugno diversi protagonisti di movimenti sociali hanno condiviso le loro idee in una sala gremita di giovani, nel corso di un incontro promosso da Rigas, la rete italiana per la giustizia ambientale e sociale.
Boaventura de Sousa Santos, professore di Sociologia all’Università di Coimbra (Portogallo), si scaglia contro l’ipocrisia di un governo che cerca di far apparire Rio de Janeiro pulita e ordinata, l’ipocrisia di politici e funzionari che lavorano ad un trattato “di facciata” il cui potenziale di cambiamento è nullo, l’ipocrisia dell’economia verde, “un cavallo di troia” nella cui pancia stanno appostate le stesse corporation economiche pronte a sferrare ancora un attacco contro i diritti ambientali e sociali. Con queste premesse il documento finale non potrà che essere un fallimento. La vera forza propulsiva del cambiamento, secondo de Sousa Santos, è la Cupola dei Popoli: l’agenda è varia e i movimenti sono tanti e forti e tutti rivendicano con forza la giustizia sociale come fondamento necessario e imprescindibile di una giustizia ambientale. Varie sono le lotte che si stanno portando avanti in tutto il mondo (indignados, movimento occupy solo per citarne alcuni), c’è però una mancanza di coordinazione, di articolazione tra i differenti soggetti in campo e non è ancora stato creato un paradigma socio-ambientale all’interno del quale tutti i livelli possano essere connessi (sindacati, ngo, associazioni, partiti…). Il problema di fondo è in definitiva politico: non possiamo prendere il potere senza trasformare il potere e in ultima istanza non possiamo creare una società sostenibile se la classe politica è corrotta e “insostenibile”; bisogna agire per cambiare leggi elettorali inefficaci, per creare forme democratiche più partecipative, per ripensare le normative di finanziamento ai partiti, per tutelare e garantire i diritti fondamentali degli individui. “Riconoscere i diritti alla natura è riconoscere il diritto alla vita, non è utopia, è già sancito all’interno delle Costituzioni di tutto il mondo”. Il cambiamento del sistema, della politica, a però dalla trasformazione della propria interiorità, a da noi stessi, questo è il cambiamento più grande, questo è il cambiamento più difficile.
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